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Chiude Cambridge Analytica, la società dello scandalo dei dati di Facebook
Cambridge Analytica, la società coinvolta nello scandalo sull’uso dei dati degli utenti Facebook, alza bandiera bianca. La causa? La fuga in massa dei clienti e le spese legali astronomiche che deve sostenere. E così ai dipendenti è stato già chiesto di restituire i computer aziendali. Nata nel 2013 come costola della britannica Scl Group, grazie ai fondi raccolti dal falco della destra americana Steve Bannon, era ascesa alla notorietà per la partecipazione alla campagna elettorale per le presidenziali americane dalla parte di Donald Trump. Ma nel giro di qualche mese è passata dalla gloria al banco degli imputati per le rivelazioni da un suo ex analista, Christopher Wylie.
Negli ultimi mesi Cambridge Analytica è stata oggetto di numerose accuse infondate e, nonostante gli sforzi della società di correggere le informazioni, è stata denigrata per attività che non solo sono legali ma sono ampiamente accettate” si legge in una nota della stessa azienda che ha già avviato le procedure di insolvenza in Gran Bretagna.
La società quindi nega ancora oggi di aver fatto qualcosa di illegale.Alexander Nix, il suo ex amministratore delegato, collaborò gomito a gomito con l’uomo di Trump sui social, Brad Parscale, al cosiddetto “progetto Alamo”. Era il gruppo di lavoro che ha sommerso gli elettori americani con messaggi propagandistici mirati grazie a dati sensibili acquisiti da Cambridge Analytica da Aleksandr Kogan, accademico dell’università di Cambridge che sviluppo una app per Facebook alla quale si iscrissero, cedendo i propri dati, 270 mila persone. Attraverso la app, This is your digital life, la rete di contatti di questi 270 mila utenti, 57 gli italiani, sono finiti a rischio 87 milioni di persone e 214 mila vivono nel nostro Paese.
Lo scandalo Facebook-Cambridge Analytica è esploso il 17 marzo scorso quando in esclusiva i quotidiani The Observer, The Guardian e il New York Times rivelarono che milioni di profili social di elettori americani erano stati violati dalla società. A sostenerlo l’ex dipendente Wylie: “Abbiamo sfruttato Facebook per raccogliere i profili di milioni di persone. E abbiamo costruito modelli per sfruttare ciò che sapevamo su di loro e mirare ai loro demoni interiori. E’ su questa base che l’intera società è stata costruita”.
Alla fine del 2015 il social network aveva scoperto che erano stati raccolti dati su una scala senza precedenti. Ma Facebook allora non informò i suoi utenti e adottò soltanto limitate contromisure che poi lo stesso Mark Zuckerberg, recentemente convocato al sentao Usa, ha ammesso essere del tutto inadeguate.
Cambridge Analytica, ad aprile, aveva sospeso Nix e annunciato l’avvio di un’indagine interna per determinare se la compagnia avesse o meno commesso illeciti, per altro la Scl lavorò anche per un partito politico italiano. La sospensione di Nix era divenuta inevitabile dopo che un giornalista di Channel 4, fingendosi un potenziale cliente, aveva registrato una conversazione con il manager nella quale quest’ultimo suggeriva tattiche elettorali quali corrompere gli avversari, anche attraverso prostitute, per poi ricattarli.
La Scl ha però una galassia di società, difficile quindi capire se si tratta di una vera chiusura o di un’operazione di immagine per tentare solo di fermare i contenziosi e continuare ad operare sotto altro nome. Nix lo intervistammo poco prima che esplodesse lo scandalo. Anche lui ha sempre detto che i dati usati dalla sua azienda erano solo quelli pubblici. Facebook ha appena annunciato grandi cambiamenti, Nix al contrario non ha più parlato pubblicamente da quando è esploso lo scandalo. A Brad Parscale infine nessuno ha chiesto nulla e continua a lavorare per Donald Trump. Sarà sempre lui a guidare la compagna elettorale del 2020 sul fronte dei social media.
Fonte: repubblica.it