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G7 dell’innovazione, Facebook: “Così proviamo a tutelare la vostra privacy. E non è facile”

La rivoluzione digitale ha bisogno di regole, deve creare standard, deve garantire la libera circolazione dei dati mantenendo e aumentando la tutela della privacy. Sembra la quadratura del cerchio ma quello degli standard del mondo digitale che sta arrivando è un dibattitto tutt’altro che accademico. E’, al contrario un serio problema commerciale e di sicurezza ed è per questo che i ministri dell’industria del G7 (Italia, Francia, Gran Bretagna, Usa, Canada, Giappone e Germania) hanno trascorso due giorni a discuterne a Torino, ospitati nella Reggia di Venaria. La dichiarazione finale dell’appuntamento riflette l’importanza del tema: “La società digitale dovrà essere aperta sicura e inclusiva”. Là dove per “inclusiva” si fa riferimento al rischio che una digitalizzazione non governata finisca per mettere a rischio posti di lavoro e welfare: “Dobbiamo monitorare quello che accade – dice il ministro italiano Carlo Calenda – e stabilire i principi fondamentali che l’innovazione tecnologica dovrà rispettare”. Tra questi, quello della tutela dei lavoratori e della garanzia della privacy per i cittadini utenti della rete.

Rob Sherman è il responsabile della tutela della privacy per Facebook in Usa e Canada.

Signor Sherman, perché è tanto importante la privacy in un mondo che, al contrario, tende a diffondere i dati in modo globale?
“Più si globalizzano le informazioni, più la tutela della privacy è diventata essenziale, una colonna portante nella nostra attività e nella creazione dei nostri prodotti. Naturalmente ogni area geografica, ogni cultura ha la sua idea di privacy. E con il passare del tempo le persone sono diventate sempre più sofisticate nella richiesta di tutela dei dati sensibili”.

Dunque un cambiamento in senso storico e, contemporaneamente, differenze di tipo culturale. Può farci qualche esempio?
“In senso storico possiamo dire che l’idea di privacy è cambiata moltissimo. All’inizio era legata semplicemente alla riservatezza su alcuni dati. Abbiamo iniziato con informazioni di tipo patrimoniale: gli utenti ci chiedevano di tutelare i dati sui loro movimenti bancari. Oggi non è più pensabile cavarsela con la semplice sottoscrizione di una liberatoria sui dati sensibili. Il pubblico ci chiede sempre più garanzie”.

Quali sono le differenze tra le diverse aree geografiche, le diverse culture?
“Dipendono molto dalla storia dei paesi. In molte parti del mondo, ad esempio, gli utenti ci chiedono di essere tutelati dal rischio che siano i governi a esercitare un controllo su ciò che si pubblica sulle pagine di Facebook. In altre aree del mondo ci chiedono di tutelare la privacy degli individui, non diffondere, ad esempio, i dati sugli spostamenti”.

I problemi che ha oggi Facebook presto li avremo tutti. Quando il mondo sarà pieno di sensori, come si potrà evitare di diffondere dati sensibili sul comportamento degli individui?
“Questo è un problema complesso. Noi stiamo studiando e applicando alcune soluzioni. Una delle strade è quella di rivelare il comportamento delle persone nascondendone l’identità. E si può fare utilizzando il gruppo, un luogo ideale intermedio tra la totalità e l’individuo. E’ successo per la prima volta in occasione del terremoto in Nepal. Alle squadre di soccorso abbiamo segnalato i punti in cui a noi risultavano gruppi di persone sepolte sotto le macerie che continuavano a trasmettere dati con i loro apparecchi connessi. Non è stato necessario rivelare l’identità degli individui che componevano i gruppi”.

I diversi media possono avere criteri diversi per tutelare la privacy. Così può accadere che ciò che un giornale decide di non pubblicare per tutelare la riservatezza, dopo pochi minuti finisce in rete. Come evitare questi paradossi?
“Penso che sarebbe opportuno definire dei principi molto generali che valgano per tutti i media lasciando poi a ciascun mezzo di informazione la responsabilità e la scelta su come tradurre quei principi concretamente”.

Quanto vale, dal punto di vista economico, la garanzia di tutela della privacy?
“Questo non lo so misurare. So però con certezza che se noi non facessimo ogni sforzo per tutelare al massimo il diritto al riserbo dei nostri utenti, presto questi ci abbandonerebbero. E allora si vedrebbe davvero qual è il valore della riservatezza. Anche per questo la privacy è ai primi posti nella nostra attività”.


Fonte: repubblica.it

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