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In Italia boom del biologico nel 2017: rispetto al 2016 un milione di famiglie in più comprano bio

La produzione biologica, che in Italia conta oltre 1,8 milioni di ettari coltivati e circa 73 mila operatori, come strumento per contrastare i cambiamenti climatici e la lotta alla fame: sono alcuni dei punti chiave della “Carta del Biologico di Bergamo” presentata nell’ambito del G7 dei Ministri dell’Agricoltura che si è svolto qualche giorno fa a Bergamo. Su questo e su molto altro abbiamo sentito il segretario nazionale di AssoBio (www.asssobio.it) Roberto Pinton che a Tgcom24racconta anche quali sono i prodotti bio più acquistati dagli italiani.

Assobio è ormai una realtà consolidata e di pochi giorni fa è la notizia della “Carta del Biologico di Bergamo”: perché questo documento è così importante per il comparto bio? 
La carta del biologico di Bergamo prende le basi dalla discussione che per tutti i sei mesi ci ha impegnato in EXPO Milano 2015, dove con FederBio abbiamo organizzato tre conferenze internazionali su ecologia, salute e cambiamento climatico, cui hanno partecipato 244 organizzazioni di tutto il mondo in rappresentanza dei movimenti a indirizzo etico e ambientale. Le iniziative in EXPO sono state seguite da una consultazione online pubblica, per arrivare a redigere e consegnare al ministro Martina la Carta del Biologico di EXPO Milano 2015. La convocazione in Italia del G7 ci ha indotto ad aggiornare il documento per presentarlo, tramite il ministro Martina, ai ministri dell’agricoltura delle 7 maggiori economie del mondo: le problematiche della sostenibilità della produzione agro-alimentare sono globali e hanno necessità di un approccio globale coordinato. Il documento è una dichiarazione comune sottoscritta dalle organizzazioni di tutti i Paesi del G7 che dà rilievo all’agricoltura biologica come strumento di trasformazione dei sistemi agricoli mondiali per il contrasto ai cambiamenti climatici e per la lotta alla fame, chiedendo pertanto un impegno ai Grandi per la sua promozione. La Carta chiede anche il riconoscimento del ruolo svolto dagli agricoltori per la tutela e la salvaguardia dell’ambiente, della biodiversità e del paesaggio rurale.

Quali sono le finalità di AssoBio e quali le difficoltà più grandi che incontra nel diffondere la cultura bio in Italia? 
L’Associazione nasce nel 2006 per volontà di undici aziende attive prevalentemente nel canale specializzato; ad AssoBio (www.assobio.it) aderiscono attualmente 85 aziende presenti in tutti i canali. I soci vanno dai pionieri del settore biologico a imprese di trasformazione che si sono avvicinate alla produzione pulita in anni più recenti, da marchi storici a chi produce a private label (NDR. espressione usata per indicare i prodotti che portano il nome della catena distributiva o del supermercato che li pone in vendita), dai distributori specializzati alla GDO (grande distribuzione). L’associazione è nata perchè, allora, mancava un’organizzazione di rappresentanza delle imprese di trasformazione e distribuzione: l’esperienza e le specificità di anelli fondamentali della filiera erano assenti dai tavoli di concertazione.

Che tipo di attività portate avanti e come supportate concretamente chi sceglie di orientare la propria azienda verso il biologico?
È del tutto evidente che le organizzazioni di rappresentanza degli agricoltori biologici, con cui peraltro siamo in ottimi rapporti e con le quali ci confrontiamo nell’ambito della federazione interprofessionale unitaria FederBio, non potevano rappresentare le nostre categorie. Addirittura accadeva che pareri sugli aspetti legati a trasformazione e distribuzione fossero richiesti e espressi dagli organismi di controllo, il che era e sarebbe ancora privo di senso: gli organismi di controllo hanno competenze precisamente determinate dalla normativa europea e nazionale, e tra queste, non fosse altro per i basilari criteri di “terzietà” che devono contraddistinguere la loro attività, non c’è assolutamente la rappresentanza delle imprese alle quali erogano servizi. La nostra attività è di rappresentanza politico-sindacale, sia diretta che nell’ambito della federazione FederBio e delle organizzazioni europee (rappresentiamo l’Italia nel gruppo d’interesse delle imprese di trasformazione di Ifoam-EU) e mondiali, come Ifoam Organics International. Consultiamo i soci sull’evoluzione della normativa (siamo chiamati a esprimere il nostro parere alle Commissioni parlamentari competenti e ci confrontiamo con il Ministero) e li aggiorniamo tempestivamente su aspetti legislativi, di mercato nazionale ed estero, sulle criticità.

Facciamo un po’ di chiarezza: quali prodotti possono davvero definirsi bio?
La normativa europea copre tutti i prodotti alimentari per uso umano e per uso zootecnico (come i cereali e foraggi per mangimi). Non sono ancora disciplinate le fibre tessili (per esempio lino, cotone, lana, canapa ecc) né i cosmetici. Peraltro esistono marchi internazionali privati che certificano sia il tessile che i cosmetici i cui ingredienti siano biologici (e gli altri componenti, per esempio le tinte per i tessuti e gli altri ingredienti dei cosmetici non siano di sintesi chimica, ma di derivazione naturale). Per rimanere nell’ambito regolamentato, però, rimaniamo in ambito food e feed. Nella produzione agricola l’enfasi è sulla salvaguardia e miglioramento del suolo e sulla tutela della biodiversità. Non si usano fertilizzanti chimici di sintesi, ma solo fertilizzanti organici (non a caso, nei Paesi anglosassoni si chiama “organic agriculture”), per la difesa delle piante si scelgono varietà magari meno produttive, ma più resistenti a malattie e parassiti; si effettua la rotazione delle colture e la loro consociazione, piantando tra le file di una coltura una seconda essenza sgradita ai parassiti della prima. In caso di necessità si possono utilizzare solo le poche sostanze espressamente autorizzate (estratti vegetali, cera d’apim lecitine, sapone); la sostanza più “chimica” utilizzabile è il rame, per il quale non si può superare il limite di 6 kg all’anno per ettaro.

E per quanto riguarda gli animali? Quali carni possono a pieno titolo vantare l’etichetta bio e perché?
Gli animali devono essere alimentati con prodotti biologici (per almeno tre quarti di produzione propria o locale); non sono ammessi allevamenti senza terra, i capi non possono essere tenuti legati o in gabbia e per ciascuna specie sono definiti gli spazi minimi a disposizione di ogni animale al coperto, allo scoperto e al pascolo. Vietati i farmaci allopatici e la somministrazione di promotori di crescita. Gli antibiotici sono ammessi solo in caso di pericolo per la vita o la salute dell’animale, ma se è necessario più di un trattamento, l’animale e i suoi prodotti perdono la qualifica di biologico. Per la trasformazione non sono ammessi coloranti, conservanti, esaltatori di sapidità, edulcoranti e altri additivi inutili. Sono ammessi solo gli additivi indispensabili: per capirci, senza agenti lievitanti (quelli che a casa si chiamano “lievito”, peraltro di assoluta innocuità) non è possibile realizzare biscotti.

Quali sono i prodotti bio che vanno per la maggiore nel settore ortofrutticolo in questo ultimo scorcio del 2017 (sia per quanto riguarda la vendita che la produzione)?
Di certo posso dire che i limoni e l’aggregato della frutta secca sgusciata si contendono ogni anno il primato nelle vendite, seguiti da banane e mele per la frutta. Per gli ortaggi la quarta gamma nel suo complesso è la categoria più significativa, seguita da carote, aglio, patate e cipolle. Quest’anno hanno performato molto bene anche le zucchine, per non parlare di zenzero e curcuma, il cui successo non cessa di stupire.

Quali sono i prodotti bio dell’autunno?
Come sempre, dopo le vacanze estive e col ritorno a scuola dei ragazzi, hanno ripreso a crescere i prodotti per la colazione, ma crescerà anche il vino, che da qualche anno inanella performance di tutto rispetto (se ne son ben accorti i produttori: ormai due terzi del Franciacorta è biologico o in conversione, le cantine Ferrari hanno convertito i loro vigneti, ma il fenomeno è diffuso in tutta Italia). Cresceranno anche le creme spalmabili di nocciola e cacao, grazie all’attenzione dei consumatori sull’olio di palma, che i nostri produttori di punta non hanno mai usato.

Come sta cambiando la distribuzione dei prodotti bio in Italia (dai negozi specializzati alla grande distribuzione)? 
Con l’aumento d’interesse della GDO (ben motivato: è da un decennio che il biologico cresce a doppia cifra; l’anno scorso il 40% della crescita del fatturato alimentare si deve a prodotti biologici: è da prodotti bio che derivano 166 dei 419 milioni di ripresa dei consumi), aumentano ampiezza e, in alcuni casi, profondità della gamma. L’offerta di nuovi prodotti biologici intercetta nuovi consumatori (un milione di famiglie in più rispetto all’anno scorso), ma interessa anche consumatori già fidelizzati, che cominciano a tradire il canale specializzato (che tiene per quanto riguarda il valore, ma sta perdendo quote in percentuale, vista la crescita complessiva nella multicanalità).

Obiettivi da centrare a breve termine?
Probabilmente dovremmo testare nuove coltivazioni che non solo siano resistenti alle principali avversità, ma siano anche di gran valore organolettico, da proporre a maturazione fisiologica, e pazienza se maturano dopo May crest (NDR. La pianta di Pesco “Maycrest” è un albero molto precoce proveniente dall’America con frutti di medie/grosse dimensioni) o perderanno due giorni di shelf life (NDR. vita degli articoli da banco senza che ne vengano alterate le qualità e senza dover ricorrere ad accorgimenti che ne prolunghino la conservazione): il consumatore (non quello biologico, quello generale) si è ormai stancato di prodotti di gusto non soddisfacente perchè maturazione commerciale e fisiologica son ben distanti, che a casa passano dall’acerbo all’imbrunito senza che sia possibile “cogliere l’attimo”. E pazienza se non saranno primizie. Oggi come oggi corriamo il rischio che il consumatore che assaggia una pesca immatura si convinca che “quest’anno le pesche non son buone” e non le compri più.


Fonte: tgcom24.mediaset.it

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Google Chrome su Windows diventa un po’ antivirus

Il dominio praticamente assoluto di Windows nel mondo dei computer desktop l’ha sempre reso il bersaglio preferito dei cybercriminali. Al giorno d’oggi il browser è il principale veicolo d’infezione di un sistema, in quanto applicazione più usata. Certe volte non è nemmeno necessario andare a cercarsi grane in siti poco raccomandabili, basta un po’ di leggerezza e installare l’adblocker sbagliato.

Ogni browser degno di questo nome include sistemi di protezione molto sofisticati, ma Google ha deciso incrementare in modo deciso quelli di Chrome, al punto da renderlo quasi un antivirus. Si chiama Chrome Cleanup ed è in distribuzione da pochi minuti; avrà la capacità di segnalare all’utente se trova programmi sospetti o indesiderati nel sistema e offrirà aiuto per rimuoverli.

Chrome Cleanup sfrutta il motore di scansione di ESET, ma Google precisa molto chiaramente che non si tratta di un “vero” antivirus generico: interviene solo quando i software violano le “Norme relative al software indesiderato” di Google stessa. In particolare, un’applicazione viene identificata come indesiderata quando ha una o più di queste caratteristiche:

  • È ingannevole in quanto promette un valore aggiunto che non offre.
  • Cerca di indurre con l’inganno gli utenti a installarlo o si cela all’interno di un altro programma che l’utente sta installando.
  • Non illustra all’utente le sue funzioni principali e distintive.
  • Altera il sistema dell’utente in modi inaspettati.
  • È difficile da rimuovere.
  • Raccoglie o trasmette informazioni private a insaputa dell’utente.
  • Viene integrato in altro software senza comunicarne la presenza.

Resta da capire l’impatto che Chrome Cleanup avrà sulle performance del browser, già noto per essere piuttosto avido di risorse.

Google ha anche annunciato che, il mese passato, ha distribuito con discrezione un’altra novità importante in questo senso: Chrome è in grado di rilevare le impostazioni che sono state cambiate senza l’interazione dell’utente (esempio più classico: gli installer di tool e utility che ti chiedono di impostare un motore di ricerca diverso da quello predefinito) e ripristinarle ai valori precedenti.


Fonte: hdblog.it

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