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L’obbligo di impedire l’instaurarsi di prassi di lavoro non sicure

Il datore di lavoro deve impedire l’instaurarsi da parte dei lavoratori di prassi di lavoro non corrette e latrici di possibili rischi per la loro sicurezza e incolumità e il preposto è chiamato invece a sovraintendere per impedire il loro formarsi.
L’infortunio sottoposto all’esame della suprema Corte aveva interessato un lavoratore dipendente di un’azienda che era stato investito da una cassaforma in cemento armato che veniva movimentata da un mezzo meccanico manovrato proprio dal preposto addetto alle lavorazioni.
Quest’ultimo era stato accusato di non avere proceduto ad una corretta disposizione e accatastamento delle casseforme collocate nei pressi di un pilastro in modo da escluderne la caduta e il ribaltamento e a suo carico erano stati ravvisati profili di colpa generica in quanto era emerso che era stato proprio lui ad ordinare alla persona offesa di issarsi sopra il manufatto per agganciarlo alla catena della gru, onde consentirne il trasporto, seguendo una metodica di lavoro in contrasto con qualsiasi regola di prudenza, stante il rischio di ribaltamento, ed espressamente vietata dalle prescrizioni datoriali che facevano parte integrante del sistema di sicurezza aziendale.
Il datore di lavoro, ha sostenuto la Corte di Cassazione nel decidere sul ricorso presentato dall’imputato, deve impedire l’instaurarsi da parte dei lavoratori, destinatari delle direttive di sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e, come tali, latrici di possibili rischi per la sicurezza e la incolumità dei lavoratori e il preposto è chiamato invece a intercettare e a impedire il formarsi di non corrette metodiche dei lavori cui sovraintende, il che non è successo nel caso in esame essendo stato lo stesso a favorire una metodica in contrasto con qualsiasi regola di prudenza..
Essendo stati riconosciuti pertanto in capo al preposto della società datoriale i profili di colpa individuati nelle imputazioni ed escluso altresì un comportamento abnorme da parte del lavoratore o comunque tale da interrompere il nesso di causalità, la Corte di Cassazione, preso atto che la sentenza impugnata non presentasse il vizio di motivazione dedotto dalla difesa del ricorrente, ha dichiarato inammissibile il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché della prevista somma in favore della Cassa delle ammende.

Fonte: puntosicuro.it

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