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Spiare i social network dei candidati a un colloquio di lavoro va contro le regole della Privacy
Se siete dei datori di lavoro e spiate i social network dei candidati a un impiego, per deciderne l’assunzione o meno, fate attenzione: il vostro comportamento potrebbe violare le leggi sulla privacy dell’Unione Europea. È quanto stabiliscono le nuove linee guida pubblicate da un organismo europeo, consultivo e indipendente, per la protezione dei dati personali.
Un pronunciamento in favore della privacy degli impiegati, o potenziali tali, stando a quanto riporta il quotidiano economico britannico Financial Times. I regolatori stabiliscono che il voyeurismo digitale dei boss deve richiedere “una base giuridica” a legittimare la ricerca su LinkedIn, Facebook, Instagram e così via. E i dati collezionati dovranno essere “rilevanti per le performance lavorative”. Inoltre, il candidato va espressamente avvisato che l’azienda per la quale si sta proponendo passerà al setaccio anche i suoi profili social.
Un altro, diverso, appunto riguarda i dispositivi indossabili come il Fitbit: l’azienda può fornirli ai dipendenti ma non deve collezionare i dati che ha a disposizione grazie al gadget né lavorare con terze parti che potrebbero possedere queste informazioni. Non solo, impiegati e aspiranti tali non possono essere forzati ad accettare l’amicizia social dei capi né a dare le password dei loro profili.
Si tratta di precisazioni necessarie al tempo dei social network. Quando un post su Facebook può anche costarti il licenziamento, da un lato, e precluderti opportunità lavorative, dall’altro. Secondo un’analisi della compagnia CareerBuilder, circa il 60 percento delle imprese usa i social media per scremare i candidati. Ma le verifiche non vanno considerate giustificate solo perché i profili sono pubblici, puntualizzano i regolatori.
Le linee guida sono state elaborate dal “Gruppo di lavoro ex Articolo 29”, organismo composto da un rappresentante delle autorità di protezione dei dati personali designate da ciascuno Stato membro dell’Unione, dal Garante europeo della protezione dei dati, nonché da un rappresentante della Commissione Ue. L’intervento precede “la piena efficacia del regolamento europeo 679/2016, che a partire dal 25 maggio 2018 soppianterà anche il nostro attuale codice della privacy”, annota l’avvocato Francesco Paolo Micozzi. “L’opinione, quindi, rappresenterà una guida per le singole autorità nazionali in materia di trattamento dei dati in ambito lavorativo”.
Fonte: repubblica.it