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La nuova legge: le tutele per chi segnala gli illeciti sul lavoro

Chi denuncia un reato, un atto illecito o una irregolarità di cui sia venuto a conoscenza sul posto di lavoro non può essere discriminato o peggio sanzionato, ma al contrario deve essere tutelato. Se quanto appena detto può sembrare una banalità, allora potrebbe sorprendere che sul punto è dovuto intervenire il Parlamento con una legge ad hoc. Spesso chi viene a conoscenza di una pratica “poco lecita” altrui si vede bene dal denunciarla. Ciò soprattutto nel mondo del lavoro. Si temono, infatti, ritorsioni, discriminazioni, sanzioni (in una parola mobbing) e addirittura licenziamenti. Insomma, la paura regna sovrana. Ci si nasconde dietro al classico «chi si fa i fatti suoi campa cent’anni», ma tutti sanno che troppe volte questa espressione altro non nasconde se non la paura che genera omertà, trasformandosi in uno dei mali peggiori per la società. È ora però di cambiare rotta. Per questo motivo è stata appena approvata la legge che introduce in Italia il cosiddetto whistleblowing, vale a dire la legge che tutela chi, venendo a conoscenza di irregolarità o atti illeciti sul posto di lavoro, decida di denunciarli. Vediamo, dunque, cos’è il whistleblowing e cosa prevede la nuova legge.

Il whistleblowing è legge

È finalmente giunto il via libera definitivo della Camera dei deputati con 357 voti (46 i voti contrari e 15 gli astenuti) alla legge che introduce in Italia il cosiddetto whistleblowing. La legge mira soprattutto alla tutela dei lavoratori. In estrema sintesi il principio cardine è il seguente: il dipendente che denuncia un reato o un atto illecito di cui sia venuto a conoscenza sul posto di lavoro non può essere discriminato, sanzionato o licenziato. Prima di analizzare cosa dice la legge cerchiamo di comprendere cos’è il whistleblowing.

Whistleblowing: cos’è

Negli ultimi tempi si è sentito molto parlare del whistleblowing.Tuttavia, forse per colpa del termine (un po’ ostico per chi non mastica bene l’inglese) un po’ per la delicatezza della tematica trattata, non tutti hanno le idee chiare. Vediamo, quindi, cos’è il whistleblowing e perché la relativa disciplina è così importante per la tutela dei dipendenti ed al fine di garantire ambienti di lavoro – per quanto più possibile – “sani” e scevri da prassi più o meno velatamente corruttive.

Partiamo dal termine. La parola whistleblowing, tradotta letteralmente dall’inglese significa “soffiare nel fischietto” (to blow the whistle). Si tratta di un’espressione figurata che ha lo scopo di evocare nella mente l’immagine dell’arbitro che fischia un fallo. Il campo di applicazione, però, non è quello calcistico. L’ambito di riferimento è il mondo del lavoro. Realtà che, benché rappresenti la quotidianità di ognuno, si manifesta talvolta ostica. E ciò non tanto per il lavoro in sé, ma per le dinamiche che – sul posto di lavoro – si vengono a creare. Dinamiche delicate, fatte di consuetudini alle quali ci si deve abituare presto. Ogni ambiante di lavoro, è risaputo, rappresenta un piccolo globo a se stante. Si tratta di un microcosmo fatto di rapporti (gerarchici e non) tra colleghi, dove spesso regna sovrano “il gioco delle parti”. Un gioco, però, che non è così semplice da imparare. Anche per quello, oltre che per acquisire professionalità, ci vuole esperienza!

Il vero punto dolente è che, come in ogni realtà sociale che si rispetti (!), anche il posto di lavoro rappresenta spesso scenario di irregolarità, atti illeciti ed ingiustizie più o meno gravi. Purtroppo però, spesso (soprattutto se parliamo dell’Italia) chi viene a conoscenza di una pratica “poco lecita” altrui si vede bene dal denunciarla.

Chi è il whistleblower

Il whistleblower è il soggetto che, a fronte di attività illecite o fraudolente di cui viene a conoscenza sul posto di lavoro, si fa carico di segnalare al proprio dirigente o alle autorità competenti la situazione irregolare. È quindi un soggetto “coraggioso” che pertanto deve essere tutelato e non discriminato (come spesso avviene). Il fine ultimo è quello di creare un circolo virtuoso, di riportare le procedure amministrative e i comportamenti dei dipendenti pubblici sui binari della legalità, evitando il clima dell’omertà che troppo spesso aleggia – più o meno pesantemente – un po’ ovunque. Si tratta in sintesi di un modo per aumentare la collaborazione tra amministrazione e dipendenti pubblici.

Segnalazione di reati sul lavoro: quali tutele

Eccoci arrivati al dunque. Il whistleblowing rappresenta la soluzione per chi ha paura di denunciare reati o irregolarità di cui viene a conoscenza sul posto di lavoro.

Nel corso degli ultimi anni si è assistito nel nostro Paese ad un crescente aumento dell’attenzione verso il tema del whistleblowing, vale a dire della necessità di tutelare chi “si prende la briga” di denunciare i reati e gli atti illeciti di cui viene a conoscenza sul posto di lavoro. La disciplina del whistleblowing è volta principalmente a tutelare i soggetti che intendono segnalare una violazione da potenziali atti ritorsivi o pregiudizievoli che potrebbero subire a seguito dell’attività di denuncia. Al riguardo, la nuova legge stabilisce, anzitutto, che colui il quale – nell’interesse dell’integrità della Pubblica Amministrazione – segnali al responsabile della prevenzione della corruzione dell’ente (di norma un dirigente amministrativo; negli enti locali il segretario) o all’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) o ancora all’autorità giudiziaria ordinaria o contabile le condotte illecite o di abuso di cui sia venuto a conoscenza in ragione del suo rapporto di lavoro, non può essere – per motivi collegati alla segnalazione – soggetto a sanzioni, demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto a altre misure organizzative che abbiano un effetto negativo sulle proprie condizioni di lavoro.

Whistleblowing: cosa succede dopo la segnalazione

L’autorità amministrativa interpellata da un whistleblower si fa carico, grazie alla segnalazione, di fronteggiare il rischio che quella situazione possa ripetersi in futuro, intervenendo dunque affinché l’amministrazione interessata adotti le giuste misure per prevenire la corruzione. L’identità del segnalante non potrà essere rivelata. Mentre spetterà al datore di lavoro dimostrare che le misure discriminatorie eventualmente poste in essere nei confronti del lavoratore “denunciante” sono motivate da ragioni estranee alla segnalazione. In questi casi l’Anac può irrogare una sanzione amministrativa pecuniaria a carico del responsabile da 5mila a 30mila euro, fermi restando gli altri profili di responsabilità. Inoltre, l’Anac applica la sanzione amministrativa da 10mila a 50mila euro a carico del responsabile che non svolga le attività di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute. Il segnalante licenziato ha diritto alla reintegra nel posto di lavoro e al risarcimento del danno. Le tutele invece non sono garantite nel caso in cui, anche con sentenza di primo grado, sia stata accertata la responsabilità penale del segnalante per i reati di calunnia o diffamazione o comunque reati commessi con la denuncia del medesimo segnalante ovvero la sua responsabilità civile, nei casi di dolo o colpa grave.

Le tutele previste per i lavoratori pubblici sono state estese anche al settore privato. In estrema intesi, dunque, il dipendente, pubblico o privato, che segnala all’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), o denuncia all’autorità giudiziaria condotte illecite, di cui è venuto a conoscenza grazie al proprio rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto ad altra misura organizzativa che potrebbe avere effetti negativi nei suoi confronti.


Fonte: laleggepertutti.it

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