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Medici in sciopero per 24 ore, la sanità si ferma contro i tagli
Medici, dirigenti sanitari e veterinari della sanità pubblica oggi incrociano le braccia. Una scelta sofferta, sostenuta dalla maggior parte delle sigle sindacali, per attirare l’attenzione su un settore ad alta intensità di lavoro, manuale e intellettuale, che negli ultimi anni si è sentito del tutto abbandonato alla deriva. Uno sciopero nazionale di 24 ore proclamato per protestare contro l’insufficienza del finanziamento previsto per il Fondo sanitario nazionale 2018, per l’esiguità delle risorse assegnate ai contratti di lavoro e per i ritardi nei processi di stabilizzazione del precariato, compreso quello addetto alla ricerca. E l’hashtag della manifestazione #primadivotarepensallasalute contiene già una chiara promessa.
Adesione superiore al passato
Ci si aspetta un’adesione molto alta, forse oltre il 70 per cento. Più alta rispetto al passato. I medici manifesteranno a Roma dalle ore 11 davanti al Ministero dell’Economia in Via XX Settembre. E il “Sanità day” coinvolgerà dottori e dirigenti d’Italia che daranno vita contemporaneamente a manifestazioni in ogni capoluogo di Regione. Saranno infatti oltre 50 le iniziative collaterali organizzate a livello locale, tra sit-in negli ospedali maggiori e davanti ai palazzi delle istituzioni. Perché la partecipazione è più forte. Così come lo sdegno e la stanchezza. Qualcosa in realtà nella legge di bilancio c’è. La tassa di scopo sulle sigarette è rientrata dalla finestra in commissione Bilancio alla Camera e vale circa 600 milioni. E se la misura va in porto, ne mancherebbero almeno altri 300 per finanziare la nuova stagione contrattuale.
Eppure i camici bianchi (115 mila medici più circa 20mila dirigenti sanitari) non protestano solo per il mancato rinnovo del Ccnl, fermo da otto anni, ma anche e soprattutto per le condizioni di disagio in cui sono costretti a lavorare. «Elemento essenziale – spiega Carlo Palermo, segretario nazionale vicario di Anaao Assomed – sono le difficoltà organizzative del lavoro quotidiano, con dotazioni organiche ridotte all’osso dal blocco del turnover, che non consentono di applicare l’orario di lavoro europeo. La conseguenza è che i medici sono costretti a cumulare milioni di ore di straordinario, a lavorare in turni notturni anche in età avanzata, spesso senza la possibilità di andare in ferie e di riposare adeguatamente».
Un sistema spinto oltre il limite
Il sistema insomma è spinto al massimo, e non dovrebbe essere così. «Dal 2009 a oggi abbiamo perso 9mila medici e dirigenti, che non sono mai stati sostituiti», continua Palermo. E l’inadeguatezza del sistema formativo post lauream non promette niente di buono neanche per il futuro: «Con la gobba pensionistica, dal 2018 in poi perderemo due medici ogni giorno. Serve una politica di assunzioni diversa. Per esempio si potrebbero impiegare 2mila giovani senza specializzazione con contratto di formazione a tempo determinato. Che in questo modo integrerebbero, con un canale formativo parallelo nei teaching hospital, i 6.500 specialisti che escono ogni anno dalle università. Non servirebbe molto. Basterebbero 4-5 milioni di euro per ogni regione. In questo modo, tra l’altro, i giovani avrebbero un recupero previdenziale anticipato di cinque anni».
Stop ai bonus, ragioniamo di welfare
Ma su queste possibilità il dibattito è fermo da tempo – denunciano i sindacati – e la politica, anche in occasione della legge di bilancio, ha dimostrato di preferire la distribuzione di bonus, invece di ragionare sul futuro della sanità pubblica. Percepita sempre più sotto attacco. «Sono 20 anni che si elargiscono gratifiche propagandistiche qua e là a scopo elettorale – sottolinea Andrea Filippi, segretario nazionale Fp Cgil medici – a scapito di una vera ristrutturazione del welfare. I bonus sono pagati con una riduzione dei servizi a pazienti e cittadini. Un disinvestimento dal welfare pubblico che ha facilitato la sanità privata, ormai sempre più sostituiva e sempre meno integrativa. Se non si realizza il combinato disposto tra rifinanziamento del Fondo sanitario nazionale e rinnovo contrattuale, questa giornata di sciopero sarà solo l’inizio».
Lo sciopero quindi è politico nel senso forse più alto del termine. «Siamo all’epilogo di un processo di de-potenziamento del servizio sanitario pubblico – sottolinea Guido Quici, presidente di Cimo Cida – che parte da un evidente sottofinanziamento del sistema, si sviluppa attraverso modelli organizzativi tendenti ad una sanità a costi sempre più bassi e mira ad impoverire il lavoro dei sanitari, in particolare il lavoro del medico le cui condizioni di disagio lavorativo sono sempre più evidenti. Questa è l’evidenza dei fatti e questo è il motivo dello sciopero».
Insomma «la sanità chiude un giorno per non chiudere per sempre», ha dichiarato ieri Costantino Troise, segretario nazionale di Anaao Assomed. «Il Ssn finora si è sostenuto sul sacrificio di medici e dirigenti sanitari. E le Regioni hanno garantito i Lea, almeno quelle che lo hanno fatto, a spese dei professionisti, delle loro ferie, delle loro risorse accessorie, dell’abuso del loro orario di lavoro». Evidentemente è ora di cambiare rotta.
Fonte: ilsole24ore.com