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Attestati malattia: occhio alla privacy
Se il medico fiscale scrive la diagnosi nel certificato di malattia destinato al datore di lavoro, si viola la privacy non senza diritto a risarcimento per il lavoratore. Va in questa direzione la recente sentenza di Cassazione (2367 del 31 gennaio 2018) su un caso di diffusione della diagnosi nell’ambiente di lavoro del ricorrente.
La normativa di riferimento sugli attestati malattia è il DM 15 luglio 1986, articolo 6. La sentenza parte da qui:
“la riservatezza imposta nella refertazione del medico fiscale esige che non debba essere annotata sulla copia per il datore di lavoro la diagnosi del paziente […] Qualsiasi indicazione – anche concernente le visite specialistiche prescritte – dalla quale possa essere desunta la diagnosi, deve ritenersi contrastante con la normativa sulla tutela della privacy.”
Il risarcimento danni al paziente è un’altra storia. Perché sussista, deve essere dimostrato che la condotta del medico abbia avuto conseguenze concrete, provocando effettivamente un danno.
Nel caso in esame, il ricorrente lamentava il «comportamento diffidente e persecutorio manifestato dai colleghi e dai parenti venuti a conoscenza dell’accertamento cui era stato sottoposto».
La Cassazione ritiene che questa conseguenza non sia ascrivibile all’annotazione del medico ma all’avvenuta divulgazione da parte del datore di lavoro.
La sentenza è interessante perché affronta il tema delle responsabilità per violazioni alla privacy e conseguente diritto a risarcimento, che nella specifica causa non veniva riconosciuto soltanto perché la contestazione era stata rivolta al medico e non al datore di lavoro. Se il dipendente avesse sporto denuncia verso tale soggetto, la sentenza sarebbe potuta essere diversa.
Ci permettiamo di sottolineare che, in nome di una frammentazione a dir poco tecnicistica delle responsabilità, non si prevede nessun risarcimento per una manifesta, e riconosciuta, violazione.
Fonte: pmi.it