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Imporre anche a Pechino il regolamento europeo per proteggere i dati sul 5G
I dati personali degli italiani e degli europei sono oggi più protetti quando società americane – del web o dell’e-commerce – li trasferiscono negli Usa. Molto meno quando sono le aziende cinesi a spingerli lungo la via dell’Oriente. E questa discrepanza – che allarma il Garante della Privacy Antonello Soro – minaccia di aggravarsi, ora che le reti 5G faciliteranno il monitoraggio e la velocità di trasmissione dei dati.
Presidente Soro, siamo dunque “nudi” di fronte agli sguardi dei cinesi?
“Gli italiani e gli europei hanno vissuto le opportunità e i rischi dell’economia digitale con uno sguardo, direi, strabico”.
Ci siamo difesi dalle insidie americane, meno dai cinesi.
“Per anni i nostri riflettori sono stati puntati esclusivamente verso Occidente, dunque verso i giganti americani del web”.
Qualche risultato è arrivato.
“Abbiamo preteso una cornice giuridica a nostra tutela. UE e Usa hanno firmato così il trattato Safe Harbour del 2000”.
Il porto sicuro, già...
“Sicuro fino a quando la Corte di Giustizia dell’Ue, nel 2015, lo ha bollato come fragile nella difesa dei cittadini. È arrivato allora il Privacy Shield”.
Lo scudo della privacy.
“E dentro questa cornice si è inserito il Regolamento comunitario di protezione dei dati. Oggi questo solido Regolamento obbliga le imprese a un quadro cogente di regole quando operano in Europa, dunque quando trattano i dati dei cittadini europei”.
Non ci tutela verso i cinesi?
“La presenza cinese in Europa si è rafforzata moltissimo: nello sport, nel commercio elettronico, nelle tlc. Eppure i governi e le istituzioni europee non hanno spostato verso Oriente i riflettori a lungo puntati verso Occidente”.
Un bei regalo ai cinesi.
“Nella competizione con gli Usa per l’egemonia tecnologica, la Cina è in vantaggio. I cinesi sono di più, nessuna legge sulla privacy vige nel Paese, vantano una leadership nelle reti 5G che offrono al resto del mondo”.
Ad esempio con Huawei.
“La fragilità delle barriere UE regala ai cinesi un ulteriore vantaggio competitivo. E l’insieme di queste condizioni li rafforza in settori chiave come l’intelligenza artificiale. Li rende potenzialmente dominanti, sul piano economico e politico”.
Noi europei, in tutto questo?
“Rischiamo di essere terra di consumo e di conquista. A meno che non si metta in campo uno strumento straordinario come è il Regolamento UE. Se noi proteggeremo i nostri dati, con le persone proteggeremo anche l’economia comunitaria”.
Quali gli effetti concreti?
“Imporre come standard la regola europea significa ridurre lo svantaggio competitivo dell’UE verso Cina e Stati Uniti. E vuol dire riportare la competizione dentro un canale democratico, governato, trasparente”.
Vanno imposti ai cinesi trattati come quelli con gli Usa.
“I cinesi hanno bisogno come l’acqua dell’accesso al ricchissimo mercato comunitario dei dati. Non è diffìcile costringerli al negoziato. Canada, Giappone, Australia, Brasile adottano leggi in sintonia con il Regolamento UE perché necessitano dei facoltosi consumatori europei”.
Huawei è un problema?
“Come Garante non amo ricondurre i miei ragionamenti a singole imprese. Certo, le reti 5G rendono più veloce e flessibile il trasferimento dei dati. È rilevante poi che imprese cinesi siano in prima linea nel 5G. Ed è rilevante che il governo di Pechino possa accedere ai dati in possesso di almeno alcune aziende cinesi senza controllo alcuno”.
La guerra dei dazi tra Usa e Cina, in un simile scenario?
“Un approccio novecentesco. La vera sfida non si gioca chiudendo o meno un porto. Si gioca sui dati, senza i quali non esisterebbe l’economia digitale. L’UE, le autorità europee di garanzia, i governi nazionali – incluso il nostro – devono mobilitarsi con urgenza. Per proteggerci finalmente anche verso Oriente”.
Fonte: garanteprivacy.it