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Non esiste un nodo privacy: legittimo l’uso del redditometro

Il redditometro promosso all’esame della privacy. La Corte di cassazione con l’ordinanza n. 17485 della prima sezione civile depositata ieri ha accolto il ricorso presentato dall’Agenzia delle entrate contro la decisione del tribunale di Napoli che, chiamato in causa da un contribuente, le ordinava di non intraprendere attività di ricerca e trattamento dati e informazioni, soprattutto sul versante delle spese sostenute, da utilizzare per la determinazione del reddito.

La Corte smonta il presupposto del tribunale, chiarendo cioè che il potere dell’amministrazione finanziaria di svolgere attività di accertamento con il metodo sintetico trova il suo fondamento non tanto nel decreto ministeriale del 24 dicembre 2012 che disciplina soltanto le modalità di trattamento dei dati raccolti ed elaborati sulla base di altre disposizioni di legge, quanto piuttosto in un contesto più ampio e generale, relativo alla potestà impositiva dell’amministrazione stessa e nell’attività di accertamento e raccolta di informazioni attuata presso l’Anagrafe tributaria.

Tenuto conto di tutto questo, allora, è fuorviante porre la questione del rispetto del Codice della privacy e, in particolare, dell’articolo 7, che riconosce alla persona interessata il diritto di essere messo a conoscenza dei dati personali in possesso della pubblica amministrazione e quello di opporsi al trattamento degli stessi anche se direttamente attinenti allo scopo della raccolta.

Il riferimento è piuttosto alla normativa che autorizza il trattamento di dati diversi da quelli sensibili e giudiziari da parte di un soggetto pubblico per lo svolgimento delle funzioni istituzionali anche in assenza di una specifica disposizione di legge che lo preveda.

La sentenza sottolinea poi che i diritti riconosciuti dal Codice della privacy riguardano il trattamento illegittimo di dati specificamente individuati e non invece genericamente il trattamento di tutti i dati che riguardano un interessato e indicati in maniera indistinta, «traducendosi altrimenti l’iniziativa in una non consentita opposizione da parte del contribuente all’azione di accertamento dell’amministrazione, fondata su disposizioni di legge, così da impedire all’amministrazione di esercitare le potestà a essa attribuire dalla legge».

Il tribunale, invece, aveva riconosciuto al contribuente una tutela estranea al perimetro dei diritti riconosciuti dal Codice privacy, arrivando oltretutto alla disapplicazione, da parte di un giudice ordinario, di un atto amministrativo in una controversia in cui è parte diretta la pubblica amministrazione, malgrado l’ormai consolidato orientamento contrario da parte della giurisprudenza.


Fonte: ilsole24ore.com

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